Branded content. Studi, casi ed esempi italiani.

Quando ho saputo che Chiara Landi – digital specialist, social media manager e PhD in comunicazione – ha scritto un libro e che parla di branded content non vedevo l’ora di leggerlo. Quando, poi, ho scoperto che contiene tantissimi esempi di casi italiani e opinioni, di italiani, ero ancora più felice.

Nel suo primo libro Chiara vuole esplorare il branded content nella forma del brand entertainment nel contesto italiano a partire dal suo significato e dai numeri della sua diffusione per arrivare a scoprire le opinioni di chi ci lavora ogni giorno e di chi ne è il destinatario finale.

Le persone odiano i messaggi promozionali

Nessuno, infatti, può ignorare la necessità di costruire branded content o pensare che la pubblicità tradizionale, oggi, da sola possa ancora bastare.

Proprio qualche giorno fa, sul sito web del The New York Times usciva un articolo intitolato “The Advertising Industry Has a Problem: People Hate Ads”. Già “le persone odiano i messaggi promozionali”. Probabilmente questo concetto non ti suonerà nuovo.

Perché è vero che le marche influenzano la vita delle persone, le decisioni che prendono ogni giorno.  È anche vero, però, che la loro attenzione è calata moltissimo, nel tempo, e che sono sempre più sensibili all’invasione dei loro spazi e tempi.

L’utente di una volta era il target da colpire, quello di oggi, invece, è un pubblico da conquistare.

Alcune aziende e agenzie hanno la consapevolezza di essere anche veicoli culturali e hanno deciso di diventare loro stesse “produttori di cultura e intrattenimento”. Hanno capito che la pubblicità tradizionale che irrompe nelle vite delle persone per imporre loro un messaggio promozionale non può più essere la soluzione per raggiungere gli obiettivi di business. L’utente, infatti, sa bene come ignorarli, ed è addirittura disposto a pagare per non essere interrotto dagli annunci.

Product placement e brand entertainment

Ecco perché bisogna ripensare il modo di progettare e creare i contenuti. Ed è da qui che nasce la necessità del Branded Content. Come dice Chiara Landi, infatti, il branded content:

[…] consente alla aziende di comunicare il loro messaggio, permette ai creatori di rendere fruibili i contenuti in modo più creativo e offre al pubblico la possibilità di guardare un minor numero di interruzioni pubblicitarie durante la visione di un programma o di un film.

Il branded content, quindi, è un nuovo modo di fare branding che porta vantaggi a tutte le figure: alle aziende, ai creatori e anche al pubblico.

Prima che nascesse il branded content uno dei modi tradizionali per promuovere un contenuto era – e lo è ancora per molte agenzie – il product placement, ovvero l’inserimento di un naming di brand o prodotto dentro un contenuto d’intrattenimento come, ad esempio, un film. E devo dire che mi ha fatto un certo effetto scoprire che il primo product placement della storia risale al 1982 ed è avvenuto dentro il film ET.

Il product placement è diventato sempre più parte del branded entertainment tanto che Hudson e Hudson – più volte citati da Chiara – nel libro … dicono che c’è un “continuum tra branded entertainment e product placement”.

Molte agenzie e aziende hanno iniziato, prima di altre, a puntare sul brand entertainment. Alcuni esempi italiani di branded content sono “Divano Football Club-Birra Moretti, Heineken Sketch Comedy” e COOP Time Series. E nel libro ne troverai tanti altri davvero che ti daranno un’idea di quello che è stato finora il branded content e di come lo si potrà migliorare.

Il branded content, infatti, sarà protagonista anche del prossimo futuro. Secondo una ricerca di PQ Media – custom media research -, del 2018, infatti, entro il 2022 il mercato del branded entertainment crescerà due volte più velocemente dell’advertising tradizionale.

Il branded content visto dalle persone

Ma nel libro di Chiara non sono solo i numeri a decretare il futuro dell’advertising, lo sono, soprattutto, le persone.
Un intero capitolo del libro, infatti, è dedicato alle opinioni di undici professionisti del settore – tra cui  Alberto Maestri, Chief Content Officer di Open Knowledge – che Chiara ha intervistato personalmente. Un altro è dedicato ai risultati ottenuti da una web survey con cui Chiara ci fa conoscere il parere dei destinatari del branded content.

Non lasciarti ingannare dal fatto che il libro è tascabile. È pieno di spunti che meritano attenzione da parte di tutti i professionisti che lavorano con i contenuti: creativi, esperti digitali, strategist.

E se tu, che lavori nell’advertising, te lo stessi chiedendo, tranquillo, il branded content non segna la fine della comunicazione tradizionale. Questa, infatti, deve sempre essere affiancata da comunicazioni più moderne.

Prima di lasciarti alla lettura del libro voglio dirti che quello ho apprezzato di più. Nel libro non ci sono le classiche conclusioni perché ognuno di noi può scrivere il prossimo capitolo.

Ecco il libro: Branded content. Studi, casi, esempi nel contesto italiano, Chiara Landi, Carrocci Editore, 2019